Tutela del copyright per opere generate da un sistema di AI: leggi l’articolo per conoscere la decisione statunitense e europea.

Chicago, 1996. Frank Easterbrook, giudice della corte d’appello statunitense del 7° Circuit, ad uno dei primi convegni, in assoluto, dedicati all’allora emergente diritto di internet pone un dilemma ancora attualissimo. Diritto dei cavalli o diritto degli animali per quanto riguarda il rapporto tra regola giuridica e innovazione tecnologica? E si chiede, ironicamente, che senso abbia parlare di diritto dei cavalli quando basterebbe riferirsi al genere diritto degli animali, ammonendo di non cadere nella trappola (ancora attuale) del “novismo” digitale, pensando a nuove regole per la “nuove” tecnologie dei bit, ma semplicemente applicare, con buon senso, le regole giuridiche tradizionali del mondo degli atomi.

Agosto 2023. La District court della Columbia ha negato l’attribuzione della tutela del copyright ad un’opera generata da un sistema di intelligenza artificiale, ribadendo a distanza di 27 anni dall’intuizione di Easterbrook e rispetto ad una differente tecnologia, assai più sofisticata dell’internet degli anni ’90, che il diritto degli animali, quando si può è sempre preferibile al diritto dei cavalli. I principi generali, specie quelli di natura costituzionale, ma anche quelli derivanti dalle basi normative delle discipline applicabili, rimangono una bussola certa in un periodo di grande trasformazione tecnologica e incertezza giuridica.

Da dove è nato il problema?

L’opera in questione, oggetto della controversia che ha portato alla decisione prima citata di qualche settimana fa della Corte statunitense, è costituita da un’immagine generata autonomamente da un sistema di Ia denominato «Creativity machine», creato da Stephen Thaler. Quest’ultimo – già noto per avere introdotto altre azioni in diverse giurisdizioni per vedere riconosciuta la titolarità di un’invenzione in capo a un sistema di Ia – aveva agito davanti al tribunale statunitense per contestare il rifiuto da parte dell’Us copyright office (Usco) al riconoscimento della tutela autorale sull’immagine in questione. In particolare, Thaler aveva affermato che l’autore dell’opera era il sistema di Ia e che il diritto d’autore fosse stato trasferito automaticamente in capo a Thaler in quanto titolare di tale sistema.

Il giudice statunitense ha tuttavia confermato l’opinione dell’Usco, per cui non può essere riconosciuta la tutela del copyright in assenza di qualsiasi “guida” da parte di un essere umano e quindi del requisito, ritenuto fondamentale, dell’autorialità umana.

La decisione è di estrema importanza in quanto si inserisce nel quadro della dibattuta questione relativa alla tutelabilità in base al diritto d’autore dei contenuti generati dai modelli di Ia.

La decisione statunitense:

Nel rispondere a tale questione, la decisione statunitense si pone in linea con i principi generali che governano il diritto d’autore anche nei Paesi europei.

Il principio per cui la tutela autorale presuppone la sussistenza del requisito della “creazione intellettuale” da parte dell’autore, e che quindi la dimensione umana non possa in alcun modo essere sacrificata, appare costituire infatti un principio pacifico nei vari ordinamenti, essendo supportato sia dalla Convenzione di Berna sul diritto d’autore del 1886, sia da diverse decisioni della Corte di giustizia dell’Unione europea, sia infine, per quanto riguarda l’Italia, dalla legge 1941 sul diritto d’autore.

La decisione statunitense, pur negando il riconoscimento della tutela autorale ad opere create autonomamente dall’Ia (Ai-generated output), non preclude invece la possibilità che opere realizzate con l’ausilio dell’Ia (AI-assisted output) ricevano tutela. Infatti, la decisione riconosce espressamente che tra le nuove sfide che dovranno essere affrontate nel campo del diritto d’autore vi sono anche quelle relative alla valutazione dell’originalità delle opere generate dall’Ia e della quantità di input umano necessaria per attribuire a tale opera la tutela autorale.

Infatti, se è vero che – come di recente affermato anche dal nostro Consiglio di Stato nel 2021 – caratteristica dell’Ia è quella di andare oltre la mera riproduzione di un compito delegato dall’essere umano (come fa invece l’algoritmo “tradizionale”), essendo capace di elaborare in modo autonomo criteri di inferenza tra i dati forniti, cionondimeno si tratta sempre di attività che, quantomeno allo stato attuale, trovano il loro fondamento iniziale in regole definite dal programmatore e vengono attivate tramite l’inserimento di istruzioni (c.d. prompt) da parte dell’utilizzatore.

 Anche sotto questo aspetto, la decisione statunitense si pone in linea con gli orientamenti in ambito europeo.

Cosa ne pensa la Commissione europea?

Sul punto, infatti, la Commissione europea già nel 2020 aveva individuato, all’interno del rapporto intitolato «Trends and developments in artificial intelligence», una serie di criteri per il riconoscimento della tutela autorale ad un’opera realizzata con l’ausilio dell’Ia, tra cui la necessità di uno sforzo intellettuale umano e di una scelta libera e creativa dell’autore.

La questione è stata di recente affrontata anche dalla Corte di Cassazione a gennaio del 2023. La Suprema corte, giungendo incidentalmente alle medesime conclusioni del giudice statunitense, ha riconosciuto che il ricorso a un software di Ia per la realizzazione di un’opera non preclude di per sé la possibilità di attribuire tutela autorale a tale opera, a meno che, all’esito di un accertamento di fatto da condursi caso per caso, non risulti che l’utilizzo della tecnologia abbia assorbito l’elaborazione creativa dell’artista che se ne era avvalso. La decisione statunitense lascia aperto l’interrogativo se sia opportuno un intervento legislativo al fine di regolare specificamente la questione dei diritti derivanti dalle opere generate dall’Ia, o se sia invece preferibile il ricorso ai principi generali di diritto già in vigore in tema di diritto d’autore.

E il parlamento europeo?

La stessa questione è stata affrontata più recentemente dal Parlamento europeo con la «Risoluzione del 20 ottobre 2020 sui diritti di proprietà intellettuale per lo sviluppo di tecnologie di intelligenza artificiale».

Il Parlamento europeo, da un lato, ha evidenziato che nei casi in cui l’Ia è impiegata solo come strumento per assistere un autore nel processo creativo (Aiassisted output) il quadro vigente in materia di diritti d’autore rimane applicabile; dall’altro lato, ha sottolineato come anche le creazioni tecniche generate dall’Ia (Ai-generated output) debbano essere tutelate nell’ambito del quadro giuridico dei diritti di proprietà intellettuale – secondo alcuni autori, attraverso la creazione di un nuovo diritto connesso – al fine di incoraggiare gli investimenti in questa forma di creazione.

Sarà quindi interessante osservare se e come il legislatore europeo, anche in attesa della approvazione del nuovo regolamento sull’intelligenza artificiale (Ai act), interverrà per dare risposta agli interrogativi ancora aperti.

Certamente, le due sponde dell’Atlantico, pur nella diversità di approcci di regolazione e humus costituzionali di riferimento quanto alle nuove tecnologie, non sono poi così distanti quanto al ruolo che, almeno riguardo alla tutela del dritto d’autore, deve essere riconosciuto al contributo umano.

La nostra Costituzione direbbe che la Persona (e la sua dignità) rimane al centro nonostante i processi di automazione (e di alienazione e allucinazione quali fastidiosi effetti collaterali).